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Domande Frequenti

Benvenuti nella sezione delle domande frequenti. Qui troverete risposte alle domande più comuni riguardo a LUVV. Se la vostra domanda non è qui elencata, non esitate a contattarci direttamente per ulteriori informazioni.

 Le false accuse (o calunnie) di violenza possono arrecare seri danni alla reputazione di un uomo, sottoponendolo al rischio di non poter vedere i bambini per molti mesi (se non in ambiente protetto) ed anche, nei casi peggiori, di essere vittima di inique misure di detenzione (arresti domiciliari o carcere). Pertanto, in questi casi la querela per calunnia va depositata immediatamente, poiché attendere una archiviazione delle false accuse o, peggio ancora, la fine di un eventuale processo, fa decorrere inutilmente la prescrizione in favore della calunniatrice, la quale in tal modo, anche se dovesse essere un giorno rinviata a giudizio per il reato di calunnia, rimarrebbe impunita per via della intervenuta prescrizione.
La tua risposta giudiziaria, inoltre, va rafforzata da altre iniziative da intraprendere “caso per caso”, a seconda del momento in cui le false accuse sono state lanciate (prima o dopo il pronunciamento del giudice), tra le quali certamente va inclusa una citazione in giudizio civile, contro la calunniatrice, per il risarcimento del danno subito a tutti i livelli (patrimoniale, biologico etc). Anche quest’ultima iniziativa va intrapresa immediatamente, senza gli inutili attendendismi spesso consigliati da avvocati poco competent

Gli avvocati non agiscono in nome e per conto proprio, ma in rappresentanza del cliente, e sulla base delle informazioni da lui/lei fornite lo supportano nell’esercizio del diritto alla difesa. Questa particolare funzione degli avvocati fa sì che, in generale, essi non possono essere denunciati per quanto detto o scritto nelle memorie difensive (sennò verrebbe meno lo stesso diritto alla difesa costituzionalmente garantito a tutti), ma ciò non implica una impunità assoluta. Infatti, nell’esercizio della professione gli avvocati sono tenuti ad osservare rigide regole di condotta (riunite nel Codice Deontologico Forense), e la loro violazione può certamente costituire valida ragione per procedere contro di essi sia in sede civile che penale. In particolare, in tutti i casi di false accuse di violenza e/o abusi non assistite da mezzi di prova (come tutte le calunnie, del resto), gli avvocati saranno sempre responsabili della violazione dell’obbligo di indagine e di verità stabilito dal proprio codice deontologico e, pertanto, potranno essere denunciati per calunnia in associazione con la propria assistita, oltre ad essere oggetto di segnalazione al Consiglio di Disciplina e di citazione in giudizio per danni. Inoltre, gli avvocati colpevoli di aver messo in atto una condotta in violazione dei principi deontologici possono essere citati in giudizio per la violazione dell’obbligo di Probità e Lealtà (art. 88 Codice Procedura Civile).

La figura dell’assistente sociale è (o dovrebbe essere) quella di un operatore di aiuto e prossimità alle famiglie in difficoltà, ed anche di intervento in caso di pericolo imminente per l’incolumità dei soggetti deboli (bambini e anziani, oppure persone con gravi malattie invalidanti) grazie al proprio inquadramento tra i c.d. pubblici ufficiali. Sempre più spesso, tuttavia, questi operatori sono chiamati in causa dai magistrati civili nei casi di separazione coniugale “conflittuale” per garantire una regolamentazione della frequentazione tra genitori e figli, finendo con il “sostituirsi” agli stessi giudici e, nei casi più gravi, a non rispettare le richieste del magistrato che, nella stessa ordinanza, ha affidato loro un certo incarico. In tutti questi casi, ed anche quando il ritardo degli assistenti sociali nell’adozione delle misure richieste dal tribunale comporta un disagio per il padre oggetto di limitazioni divenute inaccettabili, si può certamente denunciare la condotta di questi operatori in sede penale, in sede civile ed anche in sede disciplinare.

I magistrati, a differenza degli avvocati, sono dipendenti pubblici, le cui mansioni e stipendio sono regolati da un contratto con lo Stato. La funzione principale del magistrato, anche se non l’unica, consiste nel giudicare, cioè nell’esprimere un giudizio imparziale su interessi in conflitto, che in un processo sono rappresentati dall’accusa e della difesa. L’atto tipico di questa funzione è la sentenza. Mediamente, un PM o un giudice di diverso tipo prende 137.697 euro lordi all’anno, ossia 100.000 euro in più rispetto a quanto percepisce un impiegato statale (36.782 euro). Secondo il Consiglio d’Europa, l’Italia è tra i Paesi in cui il salario percepito da un giudice a fine carriera è pari a 6 volte quello medio di un lavoratore (in Germania solo 1,7 volte in più e in Francia 3,6 volte). A questi aspetti di sicuro favore dovrebbero corrispondere altissimi standard qualitativi nell’esercizio della funzione pubblica dei magistrati, ma così non è: lo sfacelo della giustizia civile italiana è sotto gli occhi di tutti e fa scandalizzare il mondo civilizzato. Purtroppo, i magistrati italiani sono letteralmente blindati da una normativa iniqua sulla propria responsabilità civile, che riduce a quattro parametri la loro punibilità: ignoranza, negligenza grave, negligenza inescusabile e dolo. Se non si dimostrano queste condizioni il magistrato rimarrà impunito, e in più il CSM non punirà qualunque illecito disciplinare se giudicato di scarsa rilevanza. Di conseguenza, denunciare un magistrato si rivela essere, il più delle volte, una perdita di tempo e denaro, e il risultato sarà deludente, ma non per questo ci si deve fermare o arrendersi: di fronte ai casi più gravi di negligenza o dolo del giudice (che nel campo delle separazioni coniugali sono la norma), la denuncia/esposto è un diritto a cui non si deve rinunciare, e LUVV supporta tutti coloro che vorranno permettere l’esame della condotta dei magistrati che possano essersi macchiati di un comportamento non conforme al delicatissimo ruolo da essi ricoperto.

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